domenica 17 gennaio 2016

CTU consulenza deducente e consulenza percipiente.

La giurisprudenza di legittimità e di merito ha reiteratamente precisato, in relazione alla consulenza tecnica di ufficio, come essa costituisca meramente un mezzo di ausilio per il giudice, volto alla più approfondita conoscenza dei fatti già provati dalle parti, la cui interpretazione richiede nozioni tecnico scientifiche, e non un mezzo di soccorso volto a sopperire all'inerzia delle parti medesime; allo stesso modo è oramai da tempo notorio come la CTU non possa avere carattere esplorativo e debba essere intesa solamente quale strumento ad adiuvandum del Giudice e non ad explorandum.
In sintesi, il Consulente tecnico, in virtù di particolari competenze cognitive in discipline specifiche, è chiamato a consigliare il Giudice, durante il processo, emettendo pareri che forniscano un quadro esaustivo della fattispecie, sulla base dell’esame degli elementi probanti forniti dalle parti. 
Giurisprudenza e, in particolar modo, dottrina hanno distinto due prerogative dell'ausiliario, individuate in: a) attività di deduzione, da fatti già acquisiti al processo, di fatti ignoti sulla base di sapere specialistici (consulenza deducente); b) attività di percezione ove per la percezione sono necessari saperi tecnici e specialistici (consulenza percipiente).
Nel primo caso la CTU figura quale mezzo di indagine volta ad accertare fatti già provati dalle parti e non costituisce la fonte di alcuna prova; nel secondo caso, invece, essa assume una portata leggermente più ampia, sebbene giammai ascenda la rango di prova, poiché è finalizzata ad accertare fatti non altrimenti accertabili se non per mezzo di particolari competenze specialistiche di settore. 
Nel secondo caso il Giudice può affidare al consulente non solo l’incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulente percipiente), ed in tal caso è necessario e sufficiente che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga che l’accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche (Cass. Civ., Sez. III, 13/03/2009 n. 6155).
Anche in tale ipotesi, si badi bene, la consulenza tecnica rimane un mezzo di ausilio del giudice volto alla più approfondita conoscenza di fatti già provati dalle parti, la cui interpretazione richiede nozioni tecnico scientifiche non in possesso dell’organo Giudicante, essa, invero, non diviene mai un mezzo di soccorso volto a sopperire l’inerzia delle parti. Un’eventuale ammissione della CTU in tal senso comporterebbe inevitabilmente “lo snaturamento dell’istituto previsto dal codice di procedura, il mancato rispetto della posizione paritaria delle parti nel processo, un allungamento dei tempi processuali, con palese violazione del giusto processo, anche sotto il profilo della ragionevole durata, tutelato dall’art. 111 della Costituzione” (Cass. Civ., Sez. III, 19/04/2011 n. 8989).
Acclarata la rilevanza della Consulenza Tecnica come mero strumento di accertamento di situazioni rilevabili con il concorso di determinate cognizioni tecniche e, in ogni caso, fermo restando che le valutazioni espresse dal CTU non hanno efficacia vincolante per il Giudice e che essa non rientra nella disponibilità delle parti ma è rimessa al potere discrezionale del Magistrato, si può addivenire alla consulenza percipiente solo allorché si verta in situazioni rilevabili unicamente con il concorso di determinate cognizioni tecniche ed i normali mezzi rendano impossibile o estremamente difficile il raggiungimento della prova, come, ad esempio, in caso di danno alla salute (Cass. Civ. Sez. III, 19/01/2006 n. 1020; Cass. Civ., Sez. III, 07/05/2015 n. 9249).

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