Il Tribunale di Frosinone in una recente sentenza ha ritenuto fondata l'eccezione in oggetto formulata da questo studio ed argomentata come segue.
L'art. 8 del
D.Lgs n. 96 del 02/02/2001, ovverosia il decreto che ha recepito ed
attuato la direttiva n. 98/5/CE volta a consentire l'esercizio della
professione di avvocato in uno Stato membro differente da quello in
cui si è acquisita la qualifica, dispone alla lettera:
“1.
Nell'esercizio delle attività relative alla rappresentanza,
assistenza e difesa nei giudizi civili, penali ed amministrativi,
nonché nei procedimenti disciplinari nei quali e' necessaria la
nomina di un difensore, l'avvocato stabilito deve agire di intesa con
un professionista abilitato ad esercitare la professione con il
titolo di avvocato, il quale assicura i rapporti con l'autorità
adita o procedente e nei confronti della medesima e' responsabile
dell'osservanza dei doveri imposti dalle norme vigenti ai difensori.
2.
L'intesa di cui al comma 1 deve risultare da scrittura privata
autenticata o da dichiarazione resa da entrambi gli avvocati al
giudice adito o all'autorità procedente, anteriormente alla
costituzione della parte rappresentata ovvero al primo atto di difesa
dell'assistito”.
Occorrerà,
pertanto, stabilire quali siano le conseguenze dell'omesso deposito
all'atto della costituzione dell'intesa in questione sancita in una
scrittura privata autenticata ovvero della dichiarazione resa da
entrambi gli avvocati al Giudice adito.
I Giudici di
Piazza Cavour, chiamati a pronunciarsi sull'argomento, hanno
affermato la nullità della procura alle liti rilasciata a favore di
un avvocato stabilito, per mancanza della necessaria intesa di
affiancamento con un avvocato iscritto in Italia (Corte di
Cassazione, Sezione Lavoro, ordinanza n. 30709 del 21 dicembre 2017).
Il principio di
diritto fissato nel provvedimento appena richiamato consiste
nell'aver ritenuta invalida la procura rilasciata ad un avvocato
stabilito in difetto di una specifica intesa con un avvocato
affiancante poiché l’avvocato stabilito può sì svolgere attività
giudiziale in Italia ma solo se affiancato da un avvocato iscritto in
Italia e tale affiancamento risulti da una specifica intesa riferita
alla singola controversia; intesa che non dovrà essere generica,
dovendosi ricondurre alla singola controversia oggetto di
affiancamento, e che dovrà sussistere al momento della costituzione
in giudizio ed essere formalizzata in una scrittura privata
autenticata oppure in una dichiarazione congiunta resa dagli avvocati
al Giudice adito.
L’avvocato
stabilito, in altri termini, può ovviare alla firma congiunta degli
atti processuali assieme al collega italiano unicamente nel caso in
cui con esso abbia raggiunto un’intesa che presenti le seguenti
caratteristiche: risulti da scrittura privata autenticata o da
dichiarazione resa da entrambi gli avvocati al Giudice adito o
all’autorità procedente, anteriormente alla costituzione della
parte rappresentata, ovvero, al primo atto di difesa dell’assistito.
Solo operando con
le descritte modalità si viene ad instaurare una legittima
rappresentanza processuale.
La
giurisprudenza di merito, richiamandosi ai numerosi pareri espressi
in argomento dal CNF, in situazioni analoghe a quella di nostro
interesse ha rilevato la nullità della procura conferita
all’avvocato stabilito in carenza dei suddetti requisiti, in quanto
ha ritenuto che, ai sensi dell’art. 8, D.Lgs. n. 96/2001,
l’avvocato stabilito sia privo di un generale ed autonomo ius
postulandi
nel territorio italiano in mancanza di una intesa di affiancamento
con un avvocato italiano riconducibile alla specifica lite (vedi su
tutte Tribunale di Torino Sezione VIII Civile Sentenza 17 ottobre
2016, n. 3577 e Tribunale Milano, sentenza 04 Dicembre 2017 n.
18722).
Invero il dato
testuale della norma non lascia spazio a diverse interpretazioni; In
particolare, il secondo comma del citato art. 8 impone la
riferibilità alla singola controversia dell’intesa di
affiancamento, lasciando discrezionalità esclusivamente sulla forma
utilizzabile (potendo risultare o da scrittura privata autenticata o
da dichiarazione di entrambi i difensori diretta al Giudice adito).
Deve quindi escludersi come la predetta norma possa ritenersi
soddisfatta sulla base della sola dichiarazione resa dall’avvocato
affiancante al Consiglio dell'Ordine al momento dell’iscrizione
dell’avvocato stabilito in Italia (dichiarazione che, come ritenuto
dal CNF, non è neppure essenziale per l’iscrizione nella sezione
speciale degli avvocati stabiliti).
Di
conseguenza l'avvocato stabilito che non produca entro la
costituzione in giudizio della parte rappresentata la dichiarazione
d'intesa con l'avvocato italiano affiancante, imposta dall'art. 8
d.lgs. n. 96/01 – norma di natura imperativa, inderogabile e con
finalità pubblicistica – è privo di ius
postulandi
ex art. 82, comma 3, c.p.c. L'atto di citazione e la procura alle
liti in calce sottoscritti dal solo avvocato stabilito sono,
pertanto, affetti da nullità assoluta e insanabile, con conseguente
inammissibilità dell'azione avviata. Trattasi infatti di vizio che
non può essere sanato ai sensi dell'art. 182, comma 2, c.p.c. –
misura applicabile solo ai difetti attinenti alla capacità
processuale – né attraverso il rilascio di una nuova procura alle
liti in sede di memoria ex art. 183, comma 3, n. 1, c.p.c. né
attraverso la costituzione di altro avvocato.
Nello
specifico, la carenza di ius
postulandi
dell'avvocato stabilito non dipende dai vizi della procura ad
litem
bensì dal divieto di rappresentare in giudizio la parte senza
l'affiancamento di un avvocato italiano. La norma è infatti
perentoria nell'affermare che “l'avvocato
stabilito deve agire di intesa con un professionista abilitato a
esercitare la professione con il titolo di avvocato”.
Di talchè la fattispecie rimane del tutto estranea all’ambito di
operatività dell’art. 182. comma 2°, c.p.c., che consente di
sanare la procura viziata solo “sul versante” del Cliente e non
anche dell’avvocato. Ci si trova, pertanto, in presenza di una
procura del tutto inesistente poiché sottoscritta da avvocato
straniero privo dello ius
postulandi
e, come tale, insanabile.
Inoltre,
la possibilità di sanare il difetto/carenza di dichiarazione
d’intesa si pone in netto contrasto con la ratio della norma, la
quale richiede che il controllo dell’avvocato italiano sia ab
origine
e, all’uopo, dispone expressis
verbis
che la dichiarazione sia depositata “anteriormente
alla costituzione della parte rappresentata ovvero al primo atto di
difesa”
(art. 8 c.2 d.lgs. n° 96/01).
La
carenza dello ius
postulandi
rappresenta così un ostacolo insormontabile, dal quale discende
l’inammissibilità della domanda senza possibilità di alcuna
sanatoria.
A
sostegno della conclusione prospettata, depone altresì l’evidente
parallelo giuridico esistente tra l’ipotesi di carenza di ius
postulandi
dell’avvocato straniero e quella dell’avvocato non iscritto
all’Albo speciale dei cassazionisti che propone un ricorso dinanzi
alla Suprema Corte. Nel caso in cui si adisca il Giudice di
nomofilachia pur non essendo iscritti all’Albo speciale dei
Cassazionisti, il ricorso è dichiarato inammissibile poiché nullo
per carenza dello ius
postulandi
senza alcuna possibilità di sanare il vizio ex post, ad esempio con
una nomina tardiva di avvocato cassazionista che ratifichi l'operato
del collega, oppure con l'iscrizione successiva e/o tardiva all'albo
speciale (Cass. n. 42491/12).
Come
per l’avvocato cassazionista, dunque, anche per l’avvocato
stabilito lo ius
postulandi
è condizionato dalla presenza di specifici requisiti ulteriori
rispetto al titolo di avvocato, nello specifico individuati dall’art.
8 del d.lgs. n° 96/01 (“l'avvocato
stabilito deve agire di intesa con un professionista abilitato”),
in mancanza dei quali il professionista non è abilitato a proporre
domanda giudiziale, che per questo, ove proposta in detti termini,
deve considerarsi radicalmente inammissibile
Di seguito il link della sentenza del Tribunale di Frosinone.